Carlo Levi nacque a Torino il 29 novembre 1902 de Ercole e Annetta Treves. I genitori appartenevano entrambi alla media borghesia ebraica: il padre era rappresentante di una ditta inglese di tessuti; la madre era sorella del leader socialista riformista Claudio Treves. Nel 1904 la famiglia si stabilì nella villa costruita al n. 11 di via Bezzecca, destinata a diventare il cuore degli affetti infantili e adolescenziali del L.; le frequentazioni maschili (A. Lucca, F.M. Bongioanni, N. Sapegno) e femminili (le sorelle Nella, Ada e, particolarmente, Maria Marchesini), gli studi al liceo Alfieri e l’iscrizione alla facoltà di medicina dell’Università di Torino scandiscono le tappe di un percorso di formazione illuminato dall’incontro, avvenuto nel novembre 1918, con P. Gobetti: “Scrivere di Piero Gobetti, significa, per noi della nostra generazione, fare della autobiografia”, si legge nell’incipit del saggio su Piero Gobetti e la “Rivoluzione liberale” (in Quaderni di Giustizia e libertà, giugno 1933, n. 7).
Il 27 ag. 1922 il L. aveva affidato a La Rivoluzione liberale un articolo su Antonio Salandra, inaugurando una non lunga né sistematica serie di interventi che al modello gobettiano rendono esplicito omaggio sul terreno della scrittura non meno che su quello delle categorie concettuali.
La laurea in medicina, conseguita dal L. nel 1924, e la collaborazione presso la clinica medica dell’Università parrebbero alludere alla possibilità di un impegno professionale in realtà destinato a un radicale refoulement. Il servizio militare, prestato a Torino, a Firenze e successivamente, tra la fine del 1924 e il 1926, al Moncenisio, valse a distogliere solo temporaneamente il L. dai due poli fondamentali del suo lavoro: la pittura, la politica.
La lezione di F. Casorati, le prime esperienze parigine (propiziate, anche, dalla storia sentimentale con Vitia Gurevič), il dialogo con E. Persico e con L. Venturi, da una parte, l’amicizia con C. e N. Rosselli, l’elaborazione del lutto per la morte di P. Gobetti, il fraterno compagnonnage con A. Garosci, la ricerca di nuovi spazi all’interno dello schieramento antifascista, dall’altra, non sono senza rapporto con il respiro sovranazionale, consapevolmente europeo che nella seconda metà degli anni Venti sostenne gli orientamenti del L. nel campo delle arti figurative e le ragioni profonde della sua opposizione al fascismo.
A onta dell’effimera durata dell’impresa (un numero unico, datato aprile 1929), il progetto de La Lotta politica, che il L. condivise con N. Rosselli e R. Bauer, sembra prefigurare la strategia politica teorizzata e perseguita dal movimento di Giustizia e libertà, che C. Rosselli avrebbe fondato qualche mese dopo a Parigi, e nelle cui posizioni il L. si riconobbe.
I ripetuti soggiorni parigini del L. (1931-33) gli consentirono di stabilire un collegamento non episodico tra gli avversari del regime clandestinamente operanti a Torino (specialmente il gruppo che compilava e diffondeva Voci d’officina) e la galassia dei fuorusciti italiani in Francia, partecipando alla fase preparatoria del programma di Giustizia e libertà, redigendo, insieme con L. Ginzburg, Il concetto di autonomia nel programma di “Giustizia e libertà” (Quaderni di Giustizia e libertà, settembre 1932, n. 4) e finendo con l’assumere, a Torino, una sorta di leadership di fatto nella cospirazione antifascista.
Arrestato il 13 marzo 1934 ad Alassio, il 9 maggio fu rilasciato e ammonito. A un anno di distanza, il 15 maggio 1935, fu nuovamente arrestato; condannato a tre anni di confino, il 3 agosto arrivò a Grassano, dove il 20 lo raggiunse Paola Levi, moglie di A. Olivetti e fino a quel punto sua segreta compagna di vita; il 30 agosto il prefetto di Matera propose al ministro degli Interni il trasferimento del L. ad Aliano, che ebbe luogo il 18 settembre. Vi rimase otto mesi: i provvedimenti di clemenza adottati dal governo fascista per celebrare la conquista dell’Impero lo rimisero in libertà il 20 maggio 1936 e, il 26 successivo, il L. ripartì per Torino.
L’assassinio dei fratelli Rosselli (9 giugno) e la nascita di Anna, figlia del L. e di Paola Levi, segnarono indelebilmente l’anno 1937. Le leggi razziali del 1938 indussero il L. a riprendere la via della Francia, che non poté lasciare neppure in occasione della morte del padre, avvenuta ad Alassio il 24 sett. 1939. “La Baule, settembre-dicembre 1939” è la sintomatica indicazione di tempo e di luogo che sigilla gli otto “capitoli” di Paura della libertà (Roma 1946; ora in Scritti politici, a cura di D. Bidussa, Torino 2001, pp. 132-204; a pp. 216-219 la prefazione).
Il saggio, insieme politico e psicoantropologico, a specchio della instante minaccia della finis Europae, prossima a sprofondare nel rogo della guerra, offre un originale ripensamento di sollecitazioni e motivi derivati da La ribellione delle masse di J. Ortega y Gasset e da La crisi della civiltà di J. Huizinga. A vent’anni dalla sua pubblicazione, I. Calvino parlò di Paura della libertà come del “libro da cui deve cominciare ogni discorso su Carlo Levi scrittore”, “un tipo di libro raro nella nostra letteratura, inteso a proporre le grandi linee d’una concezione del mondo, d’una reinterpretazione della storia”.
Rinunciando a partire per gli Stati Uniti, come avrebbe desiderato Paola Levi, che dalla fine dell’estate del 1940 si era intanto trasferita, con la figlia Anna, a San Domenico di Fiesole, nella primavera del 1941 il L. fece ritorno in Italia: dai primi di giugno, e per quattro anni ancora, fu soprattutto Firenze il teatro di una quotidianità ora paradossalmente serena ora minacciata e ansiosa, trascorsa dapprima nello studio di piazza Donatello, poi (varcato il discrimine dell’8 sett. 1943) nelle abitazioni di amici affettuosamente solidali e, più stabilmente, nell’appartamento-pensione di Anna Maria Ichino: la fine dei “giochi di vita, d’amore e di guerra” (Benaim Sarfatti) che coinvolsero il L. e Anna Maria nei mesi che precedettero la liberazione di Firenze (10-11 ag. 1944) avrebbe impresso un sigillo funesto all’esistenza della donna.
La militanza nelle file del Partito d’azione (Pd’A) e la partecipazione alla lotta clandestina dopo l’arresto e la detenzione, alle Nuove di Torino e alle Murate di Firenze, dal 26 giugno al 26 luglio 1943 non avevano impedito al L. di attendere alla stesura della sua opera capitale nella quale liberamente rielabora, interiorizzandola, l’esperienza del confino.
Cristo si è fermato a Eboli rivela una singolarissima capacità di ibridazione dei codici che governano i generi letterari ai quali è più o meno strettamente apparentabile (romanzo, saggio, prosa d’arte, mémoire, “cosa vista”, corrispondenza di viaggio); edito a Roma da Einaudi nel settembre 1945, ottenne da subito un eccezionale successo di pubblico e di critica (dal Cristo F. Rosi trasse un film, abbastanza infedele, distribuito nel febbraio 1979) anche in forza dell’equivoco ermeneutico, diventato presto vulgata, che precipitosamente ne accreditò l’appartenenza all’area del neorealismo (le tangenze, semmai, sono con le parallele investigazioni del “mondo magico” del Sud d’Italia condotte da E. De Martino).
Cristo si è fermato a Eboli è letteralmente, per il L., il libro della vita: “In quell’arso cuore della Lucania”, ha scritto Montale, “Levi ha incontrato l’inferno di una umanità irredimibile, insospettata che vive fuori del tempo o almeno tutta al di fuori del nostro tempo”; un libro che, se si deve prestar fede alle indicazioni dell’autore, fu scritto tra il dicembre 1943 e il luglio 1944, ma che costituisce il punto di approdo di un più complicato processo di metabolizzazione e formalizzazione di un repertorio ideologico, mitografico, iconologico che il L. ha amministrato nel corso degli anni ricorrendo, di volta in volta, agli strumenti “tecnici” più vari: disegni, poesie, racconti orali, scritti politici. Non a caso la discussione intorno ai tempi di composizione di Cristo si è fermato a Eboli, che è stata, in anni recenti, al centro della riflessione critica sul L., e ha opposto i sostenitori della tesi di una redazione del testo chiusa nell’arco cronologico 1943-44 (M.A. e M.C. Grignani, Vitelli) a quanti (Wells, De Donato, Falaschi) hanno sottolineato la presenza nel manoscritto di tre date, comprese tra il 1940 e il 1941, apparentemente incompatibili con l’attestazione del L., si è progressivamente spostata dall’ambito della biografia, della filologia, della variantistica a quello dell’intertestualità e dei rapporti tra letteratura e arti figurative.
Condirettore della fiorentina La Nazione del popolo, in quota al Pd’A, dall’agosto 1944, direttore dell’edizione romana del quotidiano del partito, L’Italia libera, dal settembre 1945, il L. abbandonò il Pd’A al congresso di Roma (4-8 febbr. 1946). Spostato definitivamente nella capitale il proprio baricentro, accettò di candidarsi all’Assemblea costituente, nella circoscrizione di Potenza-Matera, nelle liste di Alleanza repubblicana; nel corso di una campagna elettorale puramente testimoniale, il cui esito negativo era scontato, il L. incontrò per la prima volta R. Scotellaro, poeta e militante socialista: la loro amicizia fu interrotta, il 15 dic. 1953, dalla prematura morte di Scotellaro.
Il L. aveva iniziato una relazione con la figlia di U. Saba, Linuccia: malgrado i risvolti conflittuali ora latenti ora flagranti del loro ménage, a Linuccia Saba rimase legato fino alla morte. Nell’aprile 1947 partì, con F. Parri, per gli Stati Uniti; tra l’ottobre 1947 e il febbraio 1949, collaborò regolarmente al quotidiano L’Italia socialista, diretto da A. Garosci, con una serie di disegni satirici.
Il successivo volume del L., L’orologio (Torino 1950), non fu soltanto la postuma certificazione di una lacerazione politica immedicabile indotta dalla crisi del governo Parri che l’immagine del presidente del Consiglio “crisantemo sopra un letamaio” memorabilmente riassume.
Con più acutezza di altri, F. Fortini ha osservato che “ogni capitolo” de L’orologio “è una scatola che ne contiene cento altre, ogni motivo frondeggia a creare l’impressione dominante, che è di fecondità, di larghezza e generazione costante, a getto continuo” (per cui non senza ragione, otto anni dopo, nella prefazione al Tristram Shandy einaudiano, il L. poté rivendicare le ascendenze sterniane del “romanzo”); ma, di là dalla non infondata registrazione della polifonia de L’orologio, Fortini pare aver toccato il cuore del libro e dell’intera esperienza inventiva del L., segnalandone “l’attrazione verso il tellurico, l’angoscioso, il tragico del popolare e del primitivo o sacro, il fascino etnografico […] o psicanalitico alla Jung”.
Le prefazioni – al Viaggio in Italia. Lettere familiari di Ch. de Brosses ([Firenze] 1957), al citato Tristram Shandy di L. Sterne (Torino 1958), a Roma Napoli e Firenze di Stendhal (Milano-Firenze 1960) – e i libri “di viaggio” che il L. dette alle stampe dopo aver pubblicato L’orologio sono certo meno perturbanti.
Il sapiente e talora callido mestiere acquisito attraverso l’assidua collaborazione a La Stampa o a L’Illustrazione italiana è messo a frutto dal L., di preferenza, entro lo spazio, in qualche misura predeterminato, del reportage: l’eleganza della scrittura e del tratto, non necessariamente accompagnata da un pungente rovello conoscitivo, trova di regola un simmetrico “equivalente” ideologico in un’ottica ante litteram politicamente corretta.
Questi libri si intitolano Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia (Torino 1955), Il futuro ha un cuore antico. Viaggio nell’Unione Sovietica (ibid. 1956), La doppia notte dei tigli (ibid. 1959), Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia (ibid. 1960, con 120 fotografie di J. Reismann), Tutto il miele è finito (ibid. 1964).
Scontate le differenze dei casi, e degli oggetti (la Sicilia, l’URSS, la Germania, l’Italia, la Sardegna; di altri viaggi importanti, in India nel 1956, in Cina nel 1959, si astenne dal raccogliere in volume le corrispondenze), l’impatto bruciante con la storia, percepibile in Le parole sono pietre, è riassorbito e esorcizzato dal L. in una sorta di perpetua circolarità-ciclicità, di eterno ritorno dell’identico che dissolve il Vecchio e il Nuovo, l’Arcaico e il Contemporaneo.
Ma non fu all’insegna di una proverbialmente olimpica solarità che l’estrema fase della vicenda del L. si svolse e terminò. I fatti di Genova del luglio 1960 videro il L., alla vigilia dei sessant’anni, impegnato in prima fila nella battaglia antifascista. Eletto senatore nel 1963 nel collegio di Civitavecchia come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano (PCI), aderì al gruppo misto; riconfermato nel 1968 nel collegio di Velletri nelle liste del PCI – Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), entrò nel gruppo parlamentare della Sinistra indipendente.
Nei nove anni del suo duplice mandato parlamentare intervenne su argomenti di politica interna (il centrosinistra – che lealmente contrastò -, i problemi del Sud, l’emigrazione, la programmazione economica, la contestazione studentesca) ed estera (la guerra del Vietnam, la “primavera di Praga”) o su questioni più squisitamente “culturali” (le celebrazioni del settimo centenario della nascita di Dante, la tutela dei beni artistici e paesaggistici, la morte di G. Morandi).
Candidato nel 1972 nel collegio di Caltagirone, non venne rieletto. Al punto più alto della sua “esposizione” pubblica tenne dietro, quasi senza soluzione di continuità, la fase più accusata del ripiegamento su sé. Il distacco della retina, a fine dicembre 1972, e la temporanea perdita della vista indussero il L. a servirsi di “una sorta di scrittoio” da lui stesso ideato: e Quaderno a cancelli (Torino 1979) si sarebbe intitolato il suo libro postumo per dir così involontario – aperto da una testimonianza di Linuccia Saba e chiuso da una nota di A. Marcovecchio -, del quale Calvino ha sottolineato l’inedito “senso di sconforto, di vulnerabilità, di corrosione” che sembra aver colpito il L., fino ad atterrarlo.
Nel lungo articolo (Con l’occhio della lumaca) che a Quaderno a cancelli dedicò nel Corriere della sera del 24 giugno 1979, Calvino insiste con forza sull’opposizione stabilita dal L. tra Diabetici ed Allergici (replica flagrante dell’antica antinomia tra Luigini e Contadini fissata in Cristo si è fermato a Eboli e ne L’orologio), ma curiosamente sorvola sulla struttura franta, slogata, disarticolata del Quaderno. Il rilievo dei temi escussi (a cominciare dal repêchage dei territori dell’infanzia) è obiettivamente inseparabile da un assetto formale così inconsueto per l’autore.
Il L. morì a Roma il 4 genn. 1975 e fu sepolto ad Aliano.
Se si pensa al numero relativamente esiguo di libri pubblicati dal L. tra il 1945 e il 1964, appare impressionante la fluviale sequenza delle opere postume che si collocano ai limiti, o totalmente fuori, della giurisdizione del L. (il caso estremo è rappresentato dalle semiclandestine “raccolte” di versi pubblicate nel triennio 1990-93, allestite con inaudita disinvoltura, mentre si inscrive in un orizzonte del tutto diverso la magmatica inventio di Quaderno a cancelli, il cui attuale assetto è verosimilmente passibile di un difficile lavoro di restauro): Coraggio dei miti. Scritti contemporanei 1922-1974, a cura di G. De Donato, Bari 1975; Contadini e Luigini. Testi e disegni, a cura di L. Sacco, Roma-Matera 1975 (poi, con il titolo L’altro mondo e il Mezzogiorno, Reggio Calabria 1980); Quaderno a cancelli, cit.; Poesie inedite (1934-1946), prefazioni di G. Spadolini e R. Levi Montalcini, Roma 1990; Noi esistiamo. Poesie inedite, prefaz. di F. De Lorenzo, ibid. 1991; Bosco di Eva (Poesie inedite 1931-1972), introd. di P. Perilli, postfaz. di G. Spadolini, ibid. 1993; L’invenzione della verità, a cura di V. Barani – M.C. Grignani, introd. di M.A. Grignani, San Salvatore Monferrato 1995; Il bambino del 7 luglio. Dal neofascismo ai fatti di Reggio Emilia (1952-61), a cura di S. Gerbi, introd. di G. De Luna, Cava de’ Tirreni 1997; G. Biondillo, C. L. e E. Vittorini. Scritti di architettura, Torino 1997 (antologia di scritti del L. a pp. 7-58); Discorsi del sen. Carlo Levi, a cura di G. Volpe, presentazione di N. Mancino, Avellino 1997; L’invenzione della verità. Testi e intertesti per Cristo si è fermato a Eboli, introd. di M.A. Grignani, testi a cura di V. Barani – M.C. Grignani, Alessandria 1998; Scritti politici, cit.; Discorsi parlamentari, a cura di E. Campochiaro – F. Marcelli, introd. di M. Isnenghi, Bologna 2003.
A far data dall’ottobre 2000 hanno visto la luce a Roma, per iniziativa della Fondazione C. Levi, otto volumi (è annunciato il nono: Il dovere dei tempi. Prose politico-civili) compresi nel progetto – obbediente a criteri eminentemente tematici – delle Opere in prosa di Carlo Levi: Le mille patrie. Uomini, fatti, paesi d’Italia, a cura di G. De Donato, presentazione di G. De Donato – L. Montevecchi, introduzione di L.M. Lombardi Satriani (2000); Lo specchio. Scritti di critica d’arte, a cura di P. Vivarelli (2001); Prima e dopo le parole. Scritti e discorsi sulla letteratura, a cura di G. De Donato – R. Galvagno (2001); Le tracce della memoria, a cura di M. Pagliara, prefaz. di M. Guglielminetti (2002); Roma fuggitiva. Una città e i suoi dintorni, introd. di G. Ferroni, a cura di G. De Donato (2002); Il pianeta senza confini. Prose di viaggio, a cura di V. Zaccaro, presentazione di G. Russo – P. Santangelo (2003); Un dolente amore per la vita. Conversazioni radiofoniche e interviste, a cura di L.M. Lombardi Satriani – L. Bindi (2003); Le ragioni dei topi. Storie di animali, a cura di G. De Donato, introd. di F. Cassano, postfaz. di G. Sacerdoti (2004).
Non esiste un inventario completo e attendibile degli scritti “dispersi” del Levi. Per un catalogo degli articoli e degli interventi politici si può tener conto (con cautela) di G. Sirovich, Bibliografia, in L’azione politica di C. L., prefaz. di C. Vallauri, testimonianze di L. Anderlini, F. Ferrarotti, A. Garosci, P. Vittorelli, Roma 1988, pp. 117-123, e di D. Ward, Antifascisms. Cultural politics in Italy, 1943-46. Benedetto Croce and the liberals, C. L. and the “actionists”, Madison, NJ, 1996, pp. 192 ss. Una inadeguata selezione delle molte interviste al L. nel citato Un dolente amore per la vita.
Fonti e Bibl.: Sono in possesso di carte del L.: la famiglia Levi (Torino-Venezia); la signora R. Acetoso (Roma); l’Archivio centrale dello Stato (il fondo Carlo Levi); lo Harry Ransom Humanities Research Center della University of Texas (Austin); l’Università di Pavia (il fondo Manoscritti); la famiglia Colacicchi (Firenze); il dott. A. Ricci (Alassio). Qualche generica notizia, intorno al presente stato dell’Archivio Levi da lei detenuto, la signora Acetoso ha fornito ad A. Debenedetti (C. L.: i segreti nascosti in una Bibbia, in Corriere della sera, 17 giugno 2004). Sul complesso dei documenti depositati dalla Fondazione C. Levi presso l’Archivio centrale dello Stato, v. M. Martelli, L’archivio C. L., in Il “tempo”e la “durata”in “Cristo si è fermato a Eboli”, a cura di G. De Donato, Roma 1999, pp. 251-257, e L. Montevecchi, Laboratorio di scrittura e percorsi della memoria: l’archivio di C. L., in C. L. e il Mezzogiorno. Atti della Giornata nazionale di studi, Torremaggiore… 2001, a cura di G. De Donato – S. D’Amaro, Foggia 2003, pp. 49-57. Un rapido cenno all’acquisizione del manoscritto di Cristo si è fermato a Eboli (donato dal L. ad A.M. Ichino) da parte della University of Texas in M.X. Wells, Italian post-1600 manuscripts and family archives in North American libraries, Ravenna 1992, p. 104 (riproduzioni fotografiche a pp. 136 ss.). Le carte pavesi sono descritte da L. Bernini – D. Ferraro, Prime notizie sul “Fondo Carlo Levi”, in Autografo, III (1986), 8, pp. 77-85. Un’ampia scelta di lettere, documenti, manoscritti e disegni lasciati dal L., al momento del congedo da Firenze, all’amico pittore G. Colacicchi è stata esposta a Firenze, all’Accademia delle arti del disegno, dal 4 luglio al 29 ag. 2003, nella mostra C. L.: gli anni fiorentini 1941-1945 (catal.), a cura di B. Brunello – P. Vivarelli, Roma 2003 (F. Benfante ha selezionato i materiali di archivio; di quelle carte e delle lettere familiari che gli eredi Colacicchi hanno restituito al nipote del L., Giovanni Levi, lo stesso Benfante si è avvalso per il saggio “Risiede sempre a Firenze”. Quattro anni della vita di C. L. (1941-1945), ibid., pp. 11-103). L’ultimo dei sette “blocchi” in questione, originariamente di proprietà della signora Acetoso, è stato aggiudicato nel corso dell’asta del 17 giugno 2004 (Roma, Christie’s; cfr. il catal. Libri, autografi, carte geografiche. Ricordi familiari dei duchi di Windsor, Roma 2004, scheda n. 82, pp. 20-23, e l’articolo di G. Tesio, C. L. ritorna tra i carrubi di Alassio, in TTL, suppl. de La Stampa, 6 nov. 2004).
La fitta trama dei rapporti epistolari del L. è ricostruibile sulla base delle seguenti “voci”: U. Saba, L’adolescenza del “Canzoniere” e undici lettere, Torino 1975, p. 93; Id., Amicizia. Storia di un vecchio poeta e di un giovane canarino (Quasi un racconto) 1951, a cura di C. Levi, Milano 1976, pp. 29 ss., 82 s., (157 s.), 174, 176 s.; La fraterna amicizia dei gobettiani C. L. e N. Sapegno e L’unità e l’impegno di una generazione, a cura di L. Sacco, in Basilicata, XXVIII (1986), 1, pp. 13-20; 2, pp. 17-24; C. L. e la Lucania. Dipinti del confino 1935-1936 (catal., Matera), Roma 1990, pp. 100-104; Lettere di C. L. da Grassano, a cura di M.M. L.[amberti] e Una lettera di C. L. da Aliano e lettere a L. di familiari ed amici, a cura di P. V.[ivarelli]; Lettere e disegni 1922-1936, allegato a Linea d’ombra, dicembre 1990, n. 55; È questo il “carcer tetro”? Lettere dal carcere 1934-1935, a cura di D. Ferraro, Genova 1991; C. Levi – L. Saba, Carissimo Puck. Lettere d’amore e di vita (1945-1969), a cura di S. D’Amaro, Roma 1994; Lettere ai famigliari, in L’invenzione della verità. Testi e intertesti…, cit., pp. 103-131; N. Micoli Pasino, Linuccia, nel volume collettaneo U. Saba. Sei donne per un poeta, Empoli 2003, pp. 73-134. Sulla corrispondenza edita e inedita tra il L. e U. Saba si veda S. Ghiazza, C. L. e U. Saba. Storia di un’amicizia, Bari 2002. Due fotografie di Saba, una con la moglie Lina e l’altra con la figlia Linuccia, postillate da Saba e indirizzate al L., sono riprodotte fuori testo in U. Saba, Quante rose a nascondere un abisso. Carteggio con la moglie (1905-1956). Album fotografico, a cura di R. Acetoso, Lecce 2004 (a p. 51 un “ritratto” di Lina scritto dal L.).
La più articolata ricostruzione della vita del L. (tuttavia emendabile e integrabile in più di un luogo) si deve a G. De Donato – S. D’Amaro, Un torinese del Sud, C. L.: una biografia, Milano 2001; prima e dopo la pubblicazione di questo volume le indagini biografiche sul L. hanno soprattutto privilegiato l’arco temporale compreso tra il 1918 e il 1950 (tra la “formazione” gobettiana e L’orologio): sugli anni di apprendistato si può far riferimento, oltre che a Quaderno a cancelli, alle pagine retrospettive del fratello R. Levi, Ricordi politici di un ingegnere, Milano 1981, e della cugina G. Segre Giorgi, Piccolo memoriale antifascista, Torino 1994. Sui rapporti tra il L. e Gobetti si vedano almeno N. Bobbio, C. L. e Gobetti, in C. L.: un’esperienza culturale e politica nella Torino degli anni Trenta (catal.), a cura di E. Mongiano – I. Massabò Ricci, Torino s.d. [ma 1985], pp. 47-56; A. Radiconcini, Gobetti e L., in P. Gobetti e gli intellettuali del Sud. Atti del Seminario, Roma… 1993, a cura di P. Polito, Napoli 1995, pp. 363-382; A. d’Orsi, C. L. e l’aura gobettiana, in Il“tempo”e la“durata”, cit., pp. 31-64. Con i nomi di Enzo Bonello e Carlo Artom, P. Gobetti e il L. compaiono nel romanzo “torinese” di M. Cancogni La gioventù, Milano 1981. Per i soggiorni parigini del L. e la rete delle sue relazioni con il mondo dell’antifascismo italiano in Francia: Gli anni di Parigi. C. L. e i fuorusciti 1926-1933 (catal.), a cura di M.C. Maiocchi, Torino 2003. Altri tre importanti cataloghi consentono di mettere nitidamente a fuoco la vicenda del carcere e del confino: C. L.: disegni dal carcere 1934. Materiali per una storia, Roma 1983; C. L.: un’esperienza culturale e politica…, cit.; nonché C. L.: documenti del confino 1935/36 (mostra) e C. L. e la Basilicata. Il confino, le campagne, la sanità. Seminario di studio… 1984, in C. L. al confino da Grassano ad Aliano, Matera 1986, rispett. alle pp. 7-24 e 25-62 (è la ristampa, in forma di quaderno, del fascicolo speciale C. L. al confino 1935-36, in Basilicata, XXVIII [1986], 3). Sul cruciale quadriennio 1941-45 è fondamentale il citato C. L. Gli anni fiorentini 1941-1945, ma anche E. Benaim Sarfatti, Firenze 1943-44. Giochi di vita, d’amore e di guerra in piazza Pitti 14, in Belfagor, LV (2000), 6, pp. 689-714. Sul L. e La Nazione del popolo si veda l’antologia “La Nazione del popolo”, I-II, a cura e con introd. di P.L. Ballini, Firenze 1998, ad indicem.
Sulla redazione di Cristo si è fermato a Eboli: G. Falaschi, Cristo si è fermato a Eboli, in Letteratura italiana (Einaudi), Le opere, IV, Il Novecento, 2, La ricerca letteraria, Torino 1996, pp. 469-490; M.A. Grignani – M.C. Grignani, Il lungo silenzio del manoscritto, e M.X. Wells, C. L. e la Lucania: la parola e l’immagine, in L’invenzione della verità. Testi e intertesti…, cit., pp. 137-165 e 167-179; G. De Donato, Il manoscritto del “Cristo si è fermato a Eboli” e le sue varianti, in Il“tempo” e la “durata”…, cit., pp. 169-209. I termini della querelle sono lucidamente riassunti in modo non neutrale da F. Vitelli, Filologia per ilCristodi L., in Id., Il granchio e l’aragosta. Studi ai confini della letteratura, Lecce 2003, pp. 121-156. Sulla partecipazione del L. alla campagna elettorale della primavera 1946 appaiono inevitabilmente divaricate le rievocazioni di M. Rossi-Doria (C. L., in Gli uomini e la storia. Ricordi di contemporanei, a cura di P. Bevilacqua, Roma-Bari 1990, pp. 163-174) e di L. Sacco (L’orologio della Repubblica. C. L. e il caso Italia, Lecce 1996, pp. 107-119), da un lato, di G. Amendola (I duecento voti del candidato C. L., in L’Unità, 4 marzo 1979), dall’altro.
Una Bibliografia, aggiornata ma lacunosa, degli scritti critici sul L., curata da F. Terra Abrami, è in Il “tempo” e la “durata”…, cit., pp. 311-319. A essa si rimanda, avvertendo che nei poco più di vent’anni che precedono l’uscita del numero monografico su C. L., a cura di A. Marcovecchio, in Galleria, XVII (1967), 3-6, spiccano le recensioni a Cristo si è fermato a Eboli di E. Montale (Un pittore in esilio, in Il Mondo, 2 febbr. 1946) e di C. Muscetta (C. L. in Lucania, in La Fiera letteraria, 14 nov. 1946), ma anche la nota di F. Fortini su L’orologio (“La morte sta anniscosta in ne l’orloggi”, in Comunità, IV [1950], 8, pp. 64 s.). Nel fascicolo citato di Galleria si vedano, tra gli altri, V. Foa, C. L. “uomo politico”, pp. 203-213, e I. Calvino, La compresenza dei tempi, pp. 237-240.
Entro la sterminata bibliografia sul L. successiva al 1967 si vedano ancora almeno le monografie di G. Falaschi, C. L., Firenze 1971 (2ª ed. accr., ibid. 1978); G. De Donato, Saggio su C. L., Bari 1974; G.B. Bronzini, Il viaggio antropologico di C. L.: da eroe stendhaliano a guerriero birmano, Bari 1996; N. Carducci, Storia intellettuale di C. L., Lecce 1999; G. Russo, Lettera a C. L., Roma 2001; D. Ward, C. L. Gli Italiani e la paura della libertà, con un saggio di G. De Luna, Milano 2002.
Tra gli innumerevoli atti di convegni di studio sul L., oltre a quelli citati, meritano di essere segnalati: C. L. nella storia e nella cultura italiana, Roma… 1984, a cura di G. De Donato, Manduria-Bari-Roma 1993; L'”Orologio” di C. L. e la crisi della Repubblica, Roma… 1993, a cura di G. De Donato, Manduria-Roma 1997; C. Levi. Le parole sono pietre. Atti… 1995, a cura di G. Ioli, San Salvatore Monferrato 1997; Il germoglio sotto la scorza. C. L. vent’anni dopo, Matera… 1995, a cura di F. Vitelli, Cava de’ Tirreni 1998; C. L. e la letteratura di viaggio nel Novecento. Tra memoria, saggio e narrativa, San Marco in Lamis… 2002, a cura di S. D’Amaro – S. Ritrovato, Foggia 2003; Verso i Sud del mondo. C. L. a cento anni dalla nascita, Palermo… 2002, a cura di G. De Donato, Roma 2003. Non sono stati ancora pubblicati gli atti del convegno Nell’universo di C. L., Matera… 2002.
La formazione artistica del L. si svolse in ambito familiare, essendo il padre Ercole pittore e disegnatore dilettante. Fu però l’incontro con F. Casorati – avvenuto nel 1923 per il tramite di P. Gobetti – a orientare il giovane, laureando in medicina, a un maggiore impegno nella pittura. Arcadia (Roma, Fondazione C. Levi), esposto nel 1924 alla XIV Biennale di Venezia, documenta la suggestione dell’arte del maestro, della cui scuola di via Galliari il L. non fu mai allievo in senso stretto.
Un adolescente biondo è ripreso secondo un punto di vista fortemente rialzato mentre giace disteso su un pavimento a riquadri, un flauto alla mano. Intorno è una natura morta di richiamo classico: melograni, un libro, una collana di perle. I contorni sono ben delineati, l’atmosfera è sospesa, metafisica; l’avanzare in primo piano del soggetto e lo spazio alle sue spalle definiscono un equilibrio solido dell’immagine; mentre la luce effusa, nordica, rivela una pittura analitica, di osservazione. Il dipinto dà prova di una precoce maturità dell’artista, il quale, in pochi anni focalizzò gli aspetti tematici e di stile che informarono poi la sua intera produzione.
Il L. espose anche alla Biennale successiva, dove presentò Il fratello e la sorella (ibid.), doppio ritratto realizzato a cera su tavola, tecnica di derivazione casoratiana.
Il 1926 è un anno cruciale: dapprima la morte di Gobetti, quindi la pubblicazione del Gusto dei primitivi di L. Venturi, eventi che confermarono nel L. la necessità di un’apertura europea e di un confronto con le correnti artistiche straniere, specie francesi, per superare la crescente marginalità dell’arte italiana. Quello stesso anno il L. presentò alcune vedute torinesi alla mostra in tema, organizzata dalla Società di belle arti A. Fontanesi, presso la quale operava F. Casorati; vi esposero anche Jessie Boswell, G. Chessa, N. Galante, F. Menzio e E. Paulucci, il futuro gruppo dei Sei, la cui affinità di gusto cominciava a emergere.
In quest’epoca si intensificarono i soggiorni parigini del L., che si interessava al lessico postimpressionista di G. Seurat, ma guardava anche a J. Pascin e a H. Matisse, senza tralasciare peraltro di approfondire lo studio dei grandi impressionisti. I risultati di questi contatti sono da ricercare in un netto alleggerimento della linea a favore del colore quale si registra nelle opere del 1927 e compiutamente in quelle del 1928, come Place du Tertre, o Pittrice (Ragazza con l’ombrellino) dipinti che figurarono alla prima mostra del gruppo dei Sei, tenutasi nel gennaio 1929 alla galleria torinese Guglielmi (proprietà Fondazione C. Levi: cfr. I Sei pittori di Torino, ill. 11, 13).
Attivo sostenitore del gruppo fu E. Persico, giovane intellettuale crociano giunto da Napoli a Torino nel 1927, propugnatore dell'”unità e […] continuità ideale tra le arti” (Bandini, ibid., p. 17) e amico sincero del L.: fu lui, oltre a Venturi, a indirizzare gli artisti a un respiro internazionale come campo – sulla scia di Gobetti – di libertà intellettuale contro il nazionalismo di regime. Riscontrandovi la possibilità di un’azione culturale coerente con le proprie convinzioni politiche antifasciste, il L. fece sua, senza mai rinnegarla in seguito, l’idea della pittura come luogo di autonomia critica e di valori etici, i quali si concretavano nel racconto della realtà liricamente trasfigurata.
Insieme con il gruppo dei Sei (da cui presto si staccarono Galante e Jessie Boswell) il L. espose per due anni, ottenendo importanti riconoscimenti dalla critica e un peso culturale crescente all’interno della cerchia, che riconobbe in lui la statura dell’intellettuale di vaglia. In questa fase la pittura del L. evolveva rapidamente, in armonia con una sempre maggiore militanza politica che imponeva frequenti trasferte parigine. Le opere databili al volgere del decennio appaiono dapprima fortemente debitrici delle istanze di astrazione, di fluidità materica e di intensità cromatica di A. Modigliani, come nel Ritratto di Alessandro Passerin d’Entrèves (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), presentato nel 1930 a Venezia, che raffigurava l’amico seduto in poltrona, reso secondo la gamma azzurrognola e le linee angolate tipiche del pittore livornese. Ben presto però, la conoscenza diretta della pittura espressionista di C. Soutine e di O. Kokoschka influenzarono in maniera duratura il L., rivelandogli, nella pennellata densa e sinuosa, un dato pregnante di espressione artistica, che si avvaleva del gesto per creare la forma plastica sulla tela. L’eroe cinese, ritratto criptico di A. Garosci (datato 1932: Roma, Fondazione C. Levi, in C. L.: gli anni di Parigi, 2003, ill. 31) è forse, sotto questo aspetto, l’opera più rappresentativa: un vortice di pennellate pastose costruisce la figura, proiettata all’indietro, ma con le mani in primo piano, come ad attirare l’osservatore all’interno della rappresentazione, dinamica e vibrante.
A questa data i temi cari al L. sono ormai chiari: il ritratto, la natura morta, il paesaggio, il nudo. Specialmente nel ritratto raggiunse momenti di grande felicità, dipingendone alcuni tra i più interessanti del Novecento figurativo italiano: l’artista opera come un interlocutore, un narratore partecipe e curioso del carattere originale e irripetibile di ogni individuo, e in questo dialogo commosso il pittore lascia fluire nozioni di sé. Tale attenzione, vigile eppure distesa, serena, contraddistingue anche – accanto alla vasta galleria di ritratti di famiglia e di personalità del mondo dell’arte e della cultura – il consistente corpus di autoritratti, dipinti lungo tutta la vita.
Dopo i successi professionali dei primi anni Trenta, il L. raggiunse una compiuta maturità artistica durante gli anni del confino ad Aliano. L’arido paesaggio lucano e il mondo rurale del Mezzogiorno, offrirono al L. l’occasione per quell’arte naturalista e di forte impegno civile e sociale, ma già ricca di umana partecipazione, che egli andava immaginando. Nel Figlio della parroccola (1936: Roma, Fondazione C. Levi), giustamente celebre anche per essere stato scelto dall’autore per la copertina di Cristo si è fermato a Eboli, un bambino è colto di profilo in basso a destra – i tratti decisi, la pelle olivastra – mentre il centro del dipinto è dedicato a una natura morta di frutta che emerge da un fondo in tono grigio, colore delle crete di quelle plaghe. Uomini, luoghi e prodotti della terra costituivano un’unità che la civiltà moderna stava spezzando: il mondo contadino era portatore di una complessa cultura che non doveva andare perduta. Le opere dal confino furono esposte nel 1936 dapprima alla galleria Il Milione di Milano e quindi a Genova, alla galleria Genova di S. Cairola, con grande consenso di critica e pubblico.
Rientrato in Italia dopo l’esilio parigino, negli anni di Firenze il L. si dedicò prevalentemente al ritratto, di cui fa fede l’Autoritratto con berretto (1945: Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). È del 1942 il testo critico Paura della pittura, apparso dopo la guerra in appendice alla monografia dedicatagli nel 1948 da C.L. Ragghianti, dove il L. condanna la pittura astratta contemporanea in quanto si distacca dall’uomo e dalla realtà del mondo, che invece deve restare l’oggetto della creazione artistica, pena la perdita di unità spirituale e il senso di paura, di sgomento che pervade il pensiero moderno.
Negli anni del dopoguerra, anche in virtù dello straordinario successo di Cristo si è fermato a Eboli, la produzione leviana ottenne numerosi riconoscimenti mentre si susseguivano le esposizioni in tutta Italia. Nel 1954 la XXVII Biennale gli dedicò una personale, in cui figuravano molti dipinti di tema meridionalista, secondo la poetica del realismo cara ai pittori vicini al partito comunista. La critica rilevò comunque (R. Longhi in testa) uno scadimento delle qualità pittoriche e un allontanamento dai dibattiti artistici di portata europea.
Gli anni Sessanta evidenziano – anche in ragione della ormai preponderante attività di scrittore, giornalista e parlamentare – una stanchezza d’ispirazione e di resa formale; il L. intanto, andava dipingendo con rinnovato interesse i paesaggi di Alassio, ambientati nel giardino della villa di famiglia. Si tratta di grandi tele in cui gli alberi, i carrubi, sono protagonisti che vengono rappresentati singolarmente, con forti pennellate corsive, come fossero persone che raccontano una propria storia.
Il L. affiancò sempre la produzione pittorica a quella grafica: celebri i disegni realizzati durante la prima detenzione, nel carcere romano di Regina Coeli, e rinvenuti in anni recenti: nature morte connotate da quiete atemporale. I temi dei disegni leviani accompagnarono quelli della pittura (gli amanti, le maternità, il mondo rurale); ma se nei dipinti il valore dominante è quello cromatico, nella grafica si percepisce una ricerca di circolarità, quasi di armonia cosmica, ottenuta con un segno grasso, esteso.
Una menzione a parte merita la produzione di monotipi; cioè opere a stampa a tiratura unica a partire da una lastra di vetro inchiostrato, tecnica poco utilizzata dagli artisti italiani. Il L. la apprese da L. Spazzapan alla fine degli anni Venti e in seguito continuò a praticarla; particolarmente riuscita la serie degli Amanti, che risale agli anni Cinquanta (I monotipi: C.L., 1977).
Dizionario biografico Treccani