Piangi, amato mio fratello negro
nei millenni di morti bestiali!
Le tue ceneri furono sparse per la terra
dal simun e dall’uragano…
Tu, che non hai mai innalzato piramidi
per tutti i tuoi potenti boia,
tu, catturato nelle razzie, tu, battuto
in ogni battaglia in cui trionfa la forza,
tu, che hai imparato in una scuola secolare
un solo slogan: schiavitù o morte,
tu, che ti sei nascosto nelle giungle disperate,
che hai affrontato tacendo migliaia di morti
sotto la maschera della febbre delle paludi
o sotto la maschera della tigre che azzanna,
o degli abbracci delle sabbie mobili
che soffocano a poco a poco, come il boa.
E venne il giorno in cui comparve il bianco.
Fu più astuto e cattivo di ogni morte.
Barattò il tuo oro
con uno specchietto, una collana, ninnoli,
e corruppe con l’alcool i figli dei fratelli tuoi
e cacciò in prigione i tuoi bimbi.
Allora tuonò il tam-tam per i villaggi
e gli uomini seppero che salpava
una nave straniera per lidi lontani,
là dove il cotone è un dio, e il dollaro è imperatore.
Condannato a una prigionia senza fine,
lavorando come una bestia da soma
tutto il santo giorno sotto il sole spietato.
Ti insegnarono a glorificare nei canti
il loro Signore, e fosti crocifisso sotto gli inni
che promettevano la beatitudine
in un mondo migliore;
e solo una cosa temevi:
che ti lasciassero vivere, ti lasciassero vivere.
E presso il fuoco, nell’allarme, nei confusi sogni
ti sfogavi in canti di dolore
semplici e senza parola, come l’angoscia.
Accadde che persino ti rallegrasti
e fuori di te, in una esuberanza di forza, danzasti
e tutto uno splendore di nuova virilità,
e che tutta una giovane volontà risuonasse,
su corde di rame, su tamburi di fuoco,
e il principio di questa potente musica
crebbe dal ritmo del jazz come un tifone,
e gridò alto agli uomini bianchi
che non tutto il pianeta appartiene a loro.
Musica, tu hai consentito anche a noi
di sollevare il volto e di guardare negli occhi
la futura liberazione della razza.
Che le rive dei vasti fiumi che portano
verso l’avvenire le loro onde vive
siano tue!
Che tutta la terra e tutte le ricchezze siano tue!
Che il caldo sole di mezzogiorno
bruci le tue pene.
Si asciughino ai raggi del sole
le lacrime che il tuo avo versò,
tormentato in queste lande luttuose!
Il nostro popolo, libero e felice
vivrà e trionferà nel nostro Congo.
Qui, nel cuore della grande Africa!
Patrice Lumumba – Uomo politico congolese (Katako Kombe, distr. di Sankuru, nel Kasai 1925 – presso Élisabethville 1961). Educato nelle missioni protestanti, studiò poi in un collegio cattolico. Fondatore del Mouvement national congolais, L. fu il primo presidente del Consiglio della nuova repubblica del Congo (24 giugno 1960). La sua intensa attività interna e internazionale fu diretta a garantire l’unità e l’indipendenza del Congo contro la forza disgregatrice delle tradizioni tribali e degli interessi belgi. La ricca provincia mineraria del Katanga aveva infatti proclamato la secessione della repubblica e il Belgio vi aveva inviato proprie truppe. L. richiese l’intervento delle Nazioni Unite, le cui forze rifiutarono però di intervenire per porre fine alla secessione ed espellere i Belgi. L. chiese allora aiuto all’URSS ma, entrato in violento conflitto col presidente della Repubblica J. Kasavubu e con J. Mobutu, capo dell’esercito, fu arrestato. Il 17 genn. 1961 fu trasportato in aereo a Élisabethville e consegnato alle truppe del leader katanghese M. Tshombe, dalle quali fu trucidato.