Maria Montuoro,
una partigiana forte, sensibile e coraggiosa
Era siciliana la partigiana Maria Montuoro, ma partì dalla sua isola per partecipare alla Resistenza in Lombardia, per liberare il suo Paese dai nazisti.
La sua è una figura poco nota, fagocitata dall’oblio nonostante le pagine bellissime che ci ha lasciato e che dovrebbero costituire un monito per chi non ha mai vissuto l’atrocità delle guerre.
Era nata a Palermo il 16 ottobre 1909.
Nel 1944 fu arrestata e detenuta nel carcere di San Vittore.
In seguito, insieme al fratello Alfonso, fu deportata a Ravensbruck.
Alfonso non tornerà mai più dal lager.
Trasferita a Siemenstadt la impiegarono in una fabbrica di armi nella quale lei, insieme ad altre donne, tentava di boicottare la produzione di ordigni mortali. Lavorava a contatto con acidi molto tossici ma non cercava assolutamente di cambiare mansioni, poiché poteva lavorare sui condensatori che avevano già effettuato l’ultimo collaudo e poteva così sabotarli e
immetterli difettosi sul campo di guerra.
Così Maria ci racconta le condizioni all’interno del lager:
“Eravamo state stipate nella baracca 18 per trascorrervi la quarantena…
Alle quattro e mezzo del mattino avremmo dovuto, come sempre,
scattare al suono della sirena, vestirci, rassettare la cuccetta alla perfezione,
lavarci, pigiandoci a turno nell’esiguo lavatoio…”.
Dai suoi scritti emergono donne che non hanno più nulla di femminile, di umano, magre come scheletri, senza capelli, con il volto tumefatto e gli occhi sporgenti:
la loro fisicità ben rappresenta l’inferno in terra dei lager.
“E le madri soffrivano ancora di più delle altre a causa della
tragica separazione dai propri figli…”.
In un scritto di Maria Montuoro “Turno B” troviamo la storia dolorosa ed agghiacciante di quei giorni vissuti nel più grande campo di concentramento femminile della Germania nazista, dove arrivarono a convivere tra stenti e torture fino a 45.000 donne.
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