Nella pittura di Dario Maglionico, la destrutturazione del linguaggio narrativo attraverso la simultaneità di episodi che rompono la continuità del racconto, è il risultato di una riflessione sul concetto di reificazione, termine filosofico, che peraltro dà il titolo a una serie di opere, utilizzato da Karl Marx per descrivere la mercificazione (o riduzione a oggetto) delle persone e del complesso delle loro credenze morali, politiche, culturali e psicologiche. Nei dipinti di Maglionico questa riduzione oggettuale della persona assume i connotati di una traccia mnemonica, un’apparizione sfocata, ma localizzata tra le pareti di un interno domestico. Non è tanto la persona fisica a essere reificata, ma piuttosto il suo residuo psicologico e morale, impresso, anche se in modo aleatorio e fantasmatico, tra le maglie architettoniche dell’unità abitativa.
Provvisoria e simultanea nelle tele dell’artista è, infatti, la presenza umana, che la casa assorbe come impronta parziale e dinamica di un passaggio, di un attraversamento che sembra imprimersi, come uno strascico, nel mobile tessuto spazio-temporale. Naturalmente, anche l’impianto fisico in cui si muovono (o si muovevano) le figure umane, risulta modificato. Il punto di vista dell’osservatore, nel registrare simultaneamente i diversi momenti dell’azione, subisce lievi alterazioni e così la posizione dei quadri alle pareti, dei mobili, dei complementi d’arredo – ma anche la loro stessa conformazione – diventa instabile, imprecisa, oscillante.
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