Le donne della mia generazione
aprirono i loro petali ribelli
non di rose, camelie, orchidee o altre piante
di salottini tristi, di casette borghesi;
di usanze stantie,
ma di erbe pellegrine al vento.
Perché le donne della mia generazione fiorirono
per strada, in fabbrica
divennero filatrici di sogni,
e dentro il sindacato organizzarono l’amore
secondo i loro saggi criteri.
«Cioè» dissero le donne della mia generazione
«a ciascuno secondo i suoi bisogni
e la sua capacità di risposta.»
Come nella lotta colpo su colpo,
nell’amore bacio su bacio.
E nelle aule argentine, cilene e uruguaiane
seppero quel che dovevano sapere
per il sapere glorioso
delle donne della mia generazione.
Minigonne in fiore negli anni settanta,
le donne della mia generazione
non nascosero neanche le ombre delle loro gambe
che furono di Tania.
Erotizzando col più grande calibro
la dura strada dell’appuntamento con la morte.
Perché le donne della mia generazione
bevvero di gusto il vino dei vivi,
accorsero a ogni chiamata,
tennero acceso il fuoco
e furono dignità nella sconfitta.
Nelle caserme le chiamarono puttane
senza offenderle
perché venivano da un bosco di sinonimi allegri:
minas, grelas, parcantas, cabritas, minones,
gurisas, garotas, jevas, zipotas,
viejas, chavalas, senoritas.
Finché loro stesse non scrissero
la parola Compagna,
su ogni schiena
e sui muri di ogni albergo.
Perché le donne della mia generazione ci marchiarono addosso
col fuoco eterno delle loro unghie
la verità universale dei loro diritti.
Conobbero il carcere e i pestaggi,
Vissero in mille patrie e in nessuna,
Piansero i loro morti e i miei come fossero i loro,
Dettero calore al freddo, categoria al tempo e desideri alla stanchezza,
All’acqua dettero sapore e conservarono il fuoco
della loro invincibile memoria.
Le donne della mia generazione partorirono figli eterni,
li allattarono cantando Summertime,
fumarono marijuana nel riposo,
ballarono il meglio del vino
e bevvero le musiche più pure.
Perché le donne della mia generazione
ci insegnarono che la vita
non si offre a sorsi, compagni,
ma tutta d’un colpo e fino in fondo alle sue conseguenze.
Furono studentesse, minatrici, sindacaliste, operaie,
artigiane, attrici, guerrigliere,
persino madri e compagne
nei momenti liberi dalla Resistenza.
Perché le donne della mia generazione
rispettarono solo il limite dell’orizzonte
e mai e poi mai una frontiera.
Internazionaliste dell’affetto, brigatiste dell’amore,
miliziane della carezza, commissarie del dire ti amo.
Fra una battaglia e l’altra
le donne della mia generazione dettero tutto
e dissero che era appena sufficiente.
Le dichiararono vedove a Córdoba e a Tlatelolco.
Le vestirono di nero a Puerto Montt e a San Paolo.
E a Santiago, Buenos Aires e Montevideo
furono le uniche stelle
della lunga notte clandestina.
I loro capelli bianchi non sono capelli bianchi
ma un modo d’essere
per il compito che le attende.
Le rughe che spuntano sui loro visi
dicono: ho riso e pianto e tornerei a farlo.
Le donne della mia generazione
hanno preso qualche chilo di ragioni
che non se ne vanno,
si muovono un po’ più lente,
stanche di aspettarci alla meta.
Scrivono messaggi che incendiano la memoria.
Ricordano aromi proscritti e poi li cantano.
Ogni giorno inventano parole
e con quelle ci spingono,
Nominano le cose e ci arredano il mondo.
Scrivono verità sulla sabbia e le offrono al mare.
Ci convocano e ci danno alla luce sulla tavola apparecchiata.
Dicono pane, lavoro, giustizia, libertà,
e la prudenza dell’uomo si trasforma in vergogna.
Le donne della mia generazione sono come barricate:
riparano e incoraggiano, danno fiducia
e addolciscono il filo dell’ira.
Le donne della mia generazione
sono come un pugno chiuso
che protegge con violenza la tenerezza del mondo.
Le donne della mia generazione non gridano
perché hanno sconfitto il silenzio.
Se qualcosa ci segna, sono loro.
L’identità del secolo sono loro.
Loro, la fede restituita, il coraggio nascosto di un volantino,
il bacio segreto, il ritorno a tutti i diritti.
Un tango nella serena solitudine di un aeroporto,
una poesia di Gelman scritta su un tovagliolo,
Benedetti condiviso nel pianeta di un ombrello,
i nomi degli amici
conservati con spighe di lavanda.
Le lettere per cui baci il postino,
le mani che sorreggono il ritratto dei miei morti,
i semplici elementi dei giorni
che sgomentano il tiranno,
la complessa architettura dei sogni dei tuoi nipoti.
Sono tutto e sostengono tutto,
perché tutto arriva coi loro passi
e ci raggiunge e ci sorprende.
Non c’è solitudine dove guardano loro
né oblio finché cantano.
Intellettuali dell’istinto, istinto della ragione.
Prova di forza per il forte
e amorevole vitamina per il debole.
Ecco come sono, le uniche, irripetibili, indispensabili, sofferte, picchiate,
Donne negate ma invitte della mia generazione.
Scrittore cileno (Ovalle 1949 – Oviedo 2020). Dopo il colpo di stato di Pinochet fu arrestato, torturato e costretto all’esilio (1977). Giunto in Ecuador, visse per alcuni mesi nella selva amazzonica con gli indios Shuar, scoprendone le abitudini e i ritmi di vita improntati al profondo rispetto per la natura. A questa esperienza è ispirato il libro con il quale si è imposto sulla scena internazionale, Un viejo que leía novelas de amor (1989; trad. it. 1993), cui molti altri hanno fatto seguito: da romanzi e racconti di fantasia, sorretti da un’intensa vena favolistica, a riflessioni dure e amare sul mondo contemporaneo con un’attenzione costante verso le tematiche ecologiste. Si ricordano: Historia de una gaviota y del gato que le enseñó a volar (1996; trad. it. 1996), delicata favola-parabola che ha riscosso enorme successo; Nombre de torero (1994, trad. it. 1994); Desencuentros (1997; trad. it. Incontro d’amore in un paese in guerra, 1997); Los calzoncillos de Carolina Huechuraba y otras cronicas (2006; trad. it. Cronache dal Cono Sud, 2007); La lámpara de Aladino y otros cuentos para vencer al olvido (2008; trad. it. 2008); La sombra de lo que fuimos (2009; trad. it. 2009); Últimas noticias del sur (2009; trad. it. 2011). Nel 2012 sono stati pubblicati in Italia la raccolta Tutti i racconti, curata da B. Arpaia e contenente alcuni inediti, e il racconto Historia de Mix, de Max y de Mex (trad. it. Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, 2012), mentre sono dell’anno successivo l’autobiografia informale Ingredienti per una vita di formidabili passioni, raccolta di scritti e riflessioni sui temi dell’amicizia, dell’impegno politico, del viaggio e dell’esilio originariamente editi sotto i titoli Escritura en tiempos de crisis. Articulos y reflexiones, Atacama en siete días e Chile, el país de mi memoria, il racconto breve Historia de un caracol que descubrió la importancia de la lentitud (trad. it. 2013). Tra le opere più recenti: Un’idea di felicità (con C. Petrini, 2014); El uzbeko mudo y otras historias clandestinas (2015; trad. it. L’avventurosa storia dell’uzbeko muto, 2015); Historia de un perro llamado Leal (2015; trad. it. Storia di un cane e del bambino a cui insegnò la fedeltà, 2015); El fin de la historia (2016; trad. it. 2016); Vivere per qualcosa (con C. Petrini e J. Mujica, 2017); il testo autobiografico edito in italiano Storie ribelli (2017); Historia de una ballena blanca contada por ella misma (2018; trad. it. 2018). Militante per anni al fianco di Greenpeace, S. è stato inoltre regista del film Ninguna parte (2001). Nel 2016 lo scrittore è stato insignito del Premio Hemingway Letteratura.