Questa versione di Cenerentola è una delle versioni più note, tratta da “Lo cunto de li cunti” di Basile, tradotto dal dialetto in italiano da Benedetto Croce.
C'era, dunque, una volta un principe vedovo, il quale aveva una figlia a lui tanto cara che non vedeva per altri occhi. Le aveva dato una maestra da cucire di prima riga, che le insegnava le catenelle, il punto in aria, le frange e le orlature, dimostrandole tanta affezione che non si potrebbe dire.
Ma, essendosi il padre riammogliato di fresco e avendo preso una rabbiosa, malvagia e indiavolata femmina, questa maledetta cominciò ad avere
in odio la figliastra, facendole cère brusche, visi torti, occhiate di cipiglio,
da darle il soprassalto per la paura.
La povera fanciulla si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti della matrigna, conchiudendo: « Oh Dio, e non potresti esser tu la mammina mia, tu che mi fai tanti vezzi e carezze? ». E tante volte le ripeté questa cantilena, che le mise una vespa nell’orecchio, sicché, accecata dal diavolo, la maestra finì col dirle:
« Se vuoi fare a modo di questa testa matta, io ti sarò mamma e tu sarai la pupilla degli occhi miei ». Stava per continuare in questo prologo, quando Zezolla (che così si chiamava la giovane) la interruppe: « Perdonami se ti rompo la parola in bocca. So che mi vuoi bene; perciò zitto e sufficit; insegnami l’arte, ché io sono nuova: tu scrivi e io firmo ».
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