Poiché non vollero che fossi giovane, lo diventai.
Poiché dovevo impegnarmi a essere sofferente, mi apparecchiai gioie e piaceri.
Poiché la loro maggiore preoccupazione era mettermi di cattivo umore,
trovai il modo di fargli capire che non potevano essere più graditi di così.
Poiché mi instillarono paure e pignolerie, il coraggio rideva ed esultava intorno a me.
Proprio perché fui piantato in asso, imparai a dimenticarmi di me,
e mi lasciai andare a effimeri entusiasmi.
Tanto dissipai, eppure ero consapevole che ogni perdita è una vittoria,
e nessuno può ritrovare niente se prima non l’ha smarrito,
e rincontrare ciò che si è perso è una conquista più sublime di un possesso ininterrotto.
E mentre nessuno si interessava a me, fui io a fare la mia conoscenza,
e divenni medico garbato e comprensivo di me stesso.
Poiché nella vita ebbi degli avversari, attrassi anche degli amici,
e gli amici caddero, e perfino i nemici abbandonarono la loro inimicizia,
e Sfortuna è il nome dell’albero su cui crescono gli splendidi frutti della felicità.
Ciascuno porta con sé in tutte le cose il proprio percorso di vita: le peculiarità
che la nascita, le condizioni familiari e l’istruzione gli hanno dato;
e ha bisogno di essere salvato solo chi non riesce a fortificarsi mediante l’orgoglio.
Chi è in accordo con se stesso non ha necessità di alcun aiuto,
a meno che non gli capiti un incidente da doverlo trasportare all’ospedale.
Poesia tratta da Robert Walser, Die Gedichte, pp. 201-2, Suhrkamp Taschenbuch, 1113, Erste Auflage 1986, Suhrkamp Verlag GmbH und Co. KG, Berlin. Pubblicata originalmente sulla rivista Prager Presse nel febbraio 1933. Traduzione di Pietro Carubbi.
Robert Walser (Bienne, 15 aprile 1878 – Herisau, 25 dicembre 1956) è stato un poeta e scrittore svizzero di lingua tedesca. Il suo valore di letterato gli fu riconosciuto solo post-mortem e in Italia le sue opere furono pubblicate solo a partire dagli anni sessanta.
Già a 14 anni apprendista in una banca, lavorò come impiegato a Basilea, Stoccarda e Zurigo. Passato a Berlino, compì senza successo alcuni tentativi teatrali. Tornato in Svizzera, trascorse alcuni anni sereni e produttivi, favorito da un buon successo di pubblico per quanto veniva pubblicando. Presto, però, trascurato, subì disturbi fisici e psichici che lo portarono all’internamento in una clinica psichiatrica, dove trascorse gli ultimi 28 anni della sua vita.
Solitario e scontroso, portato dall’osservazione realistica a risalire alla trasfigurazione surrealistica, sempre sconcertante e propenso a una dolorosa ironia, scrisse in rapida successione tre romanzi a sfondo autobiografico, Die Geschwister Tanner (1907), Der Gehülfe (1908), Jakob von Gunten (1909), romanzo quest’ultimo in cui Kafka ravvisò elementi precursori della sua stessa opera. Il campo in cui W. seppe meglio esprimersi fu quello della prosa breve e impressionistica, d’incisività quasi aforismatica: sono oltre mille brani e talora frammenti, raccolti solo parzialmente da W. (Aufsätze, 1913; Geschichten, 1914; Prosastücke, 1917; Kleine Prosa, 1917; Seeland, 1919-20; Die rose, 1925), e oggetto di numerose edizioni postume (Dichtungen in Prosa, a cura di C. Seelig, 5 voll., 1953-62; ecc.). Postumo (1975) è anche il romanzo Der Räuber (scritto nel 1925).