Nella città di Firenze, che è sempre stata ricca di tipi di ogni genere,
visse un pittore chiamato Calandrino, un uomo semplice che stava quasi sempre con due altri pittori chiamato l’uno Bruno e l’atro Buffalmacco.
Questi ultimi erano due tipi allegri, avveduti e pieni di astuzia,
i quali stavano volentieri in compagnia di Calandrino perché spesso
si divertivano a spese della sua semplicità.
In quel tempo vi era anche, a Firenze, un giovane che riusciva in tutto quello che voleva, astuto e accorto, chiamato Maso il Saggio; il quale, sentendo parlare dell’ingenuità del buon Calandrino, pensò di giocargli qualche tiro birbone
o di fargli credere qualche assurdità.
Trovatolo un giorno nella chiesa di San Giovanni, intento a osservare le pitture i rilievi del tabernacolo sopra l’altare, pensò che l’occasione era opportuna; e, messosi d’accordo con un amico, si avvicinò pian piano con lui a Calandrino facendo finta di non vederlo, e cominciò a parlare delle varie virtù delle pietre preziose, sicuro e preciso come se fosse stato un gioielliere.
Calandrino si mise ad ascoltare quei discorsi, e dopo un po’, vedendo che non parlavano in segreto, si unì a loro. Maso, che non attendeva altro,
continuò a parlare tranquillo, e ben presto si sentì domandare da Calandrino
dov’erano quelle pietre che possedevano tanta virtù.
- A Berlinzone, - rispose Maso, - terra dei Baschi, in una contrada che si chiama Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e si ha un’oca con un quattrino e un papero per giunta. V’è là una montagna tutta d formaggio parmigiano grattugiato, e sopra vi abitano genti che non fanno altro che preparare maccheroni e ravioli, cuocerli in brodo di capponi e gettarli giù: chi ne piglia più ne ha. Lì presso, poi, scorre un fiume di vernaccia, della migliore che mai si bevve, e senza un goccio d’acqua.
- Oh, - disse Calandrino, - è un bel paese, codesto.
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