“Figure al balcone”, P. Marussig, 1921
MARUSSIG, Piero (Pietro) – Nacque a Trieste il 16 maggio 1879 da Pietro e da Erminia Dissopra, penultimo di cinque figli, in una famiglia di agiati commercianti, gestori di un emporio di abiti confezionati. Il padre era inoltre un attento collezionista di oggetti d’arte; e il nonno paterno, Piero, un pittore dilettante. romantico e d’impronta letteraria della Trieste di fine secolo, crocevia culturale ed economico verso l’Europa, a partire dal 1887 il M. apprese i primi fondamenti della pittura sotto la guida di E. Scomparini, insegnante di disegno e arti decorative alla scuola industriale della città e attivo pittore e decoratore a Treviso.
La prima produzione artistica del M. è incentrata su ritratti e autoritratti, tra i quali il Ritratto della sorella minore Eugenia (1898), la cui forza psicologica è esaltata dalla semplificazione e dalla resa plastico-luminosa dei piani (collezione privata: P. M…., 2006, p. 96).
Tra il 1899 e il 1901 il M. viaggiò per l’Europa fermandosi alcuni mesi a Vienna e poi a Monaco, dove frequentò l’Accademia fino alla primavera del 1901.
Aderì alla Secessione, stringendo anche un legame di amicizia con uno dei suoi promotori, F. von Uhde, ed entrò in contatto con M. Liebermann, L. Corinth, G. Klimt e F. von Stuck. La conoscenza dei pittori più rappresentativi dell’epoca fu determinante nel fornire al M. una pluralità di stimoli innovativi; tornato a Trieste, approfondì ed elaborò le esperienze vissute stemperando i toni cupi e gravi dello Jugendstil nell’intimismo sintetico dei Nabis, corrente migrata nella cultura monacense dell’epoca (P. M.…, 1986, p. 17).
Nel 1903 sposò Rina Drenik e con lei si stabilì a Roma fino al 1905. A Roma ebbe modo di frequentare gli ambienti divisionisti, di studiare la pittura classica, dimostrando un’autentica predilezione per Tiziano, e di dare avvio, a suo dire, alla propria attività espositiva (P. M.…, 2006, p. 14). Sempre nel 1905 soggiornò brevemente a Venezia (P. M.…, 1986, p. 18) e, in estate, si recò a Parigi, dove rimase per gran parte dell’anno successivo.
Nella capitale francese poté confrontarsi con artisti quali, tra gli altri, P. Cézanne, V. van Gogh, P. Gauguin, G. Seurat e M. Denis ed ebbe probabilmente contatti diretti con H. Matisse (P. M.…, 1972, p. 21). Elaborò allora, attraverso l’apprendimento delle modalità pittoriche dei maestri d’Oltralpe, una propria personale interpretazione del postimpressionismo.
Tornato a Trieste nel 1906, acquistò una vecchia villa padronale con giardino sulla collina di Chiadino.
La villa divenne luogo di ritrovo per parenti e amici, ma, soprattutto, il rifugio in cui isolarsi a meditare e praticare assiduamente la pittura en plein air. Il giardino, infatti, il panorama verso le colline di Muggia e quello dalla terrazza verso la città, furono per il M., nel corso degli anni, fonte d’ispirazione per molti dipinti.
Nel 1906 partecipò a Milano alla mostra organizzata in occasione dell’inaugurazione del traforo del Sempione.
Tra il 1907 e il 1908, terminato il periodo dei viaggi formativi, si dedicò intensamente alla pittura e, sporadicamente, anche all’incisione, mettendo a punto un linguaggio personale di ampio respiro europeo e, allo stesso tempo, intimista e intellettuale, che, in particolar modo nelle figure in atteggiamento rilassato o pensoso, fonde luce e colori postimpressionisti contornati da linee costruttive e nervose di ascendenza secessionista. Con l’inizio degli anni Dieci diviene più ricorrente l’utilizzazione del colore di matrice espressionista.
Nel 1913 partecipò alla II Esposizione nazionale d’arte di Napoli, nella duplice veste di artista e di organizzatore della sala triestina; nel 1914 tenne la propria prima personale alla galleria Cassirer a Berlino.
Scarse sono le notizie relative agli anni della guerra, trascorsi probabilmente dal M. nella sua villa di Trieste, anche se alcune fonti biografiche informano che subì l’internamento in un campo di concentramento (P. M.…, 2006, pp. 18, 235).
Nel 1919, oltre a partecipare alla Quadriennale di Torino, presentò in autunno una mostra antologica alla galleria Vinciana di Milano, dove le ottime recensioni lo spinsero a trasferirsi; lì conobbe e divenne amico di Margherita Grassini Sarfatti e frequentatore assiduo del suo salotto.
Dopo il periodo di isolamento artistico, il M. trovò a Milano un ambiente consono allo sviluppo della sua ricerca pittorica. Divenne amico anche dei molti artisti che avevano esposto con lui, tra i quali C. Carrà, M. Sironi, A. Funi, F. Messina, L. Dudreville e A. Bucci. A Milano erano gli anni dei Valori plastici; e i fondamenti della pittura del M. si svilupparono in una ricerca volta alla plasticità delle figure e all’intensificazione delle ombre. Il suo linguaggio abbandonò i linearismi secessionisti e la frantumazione divisionista per divenire più solido; le figure e gli oggetti, trattati allo stesso modo, si ingrandiscono e perdono di anedotticità acquistando una monumentalità scultorea. In spazi costruiti su geometrie diagonali, dai colori smorzati, tutto appare organizzato in volumetrie schiacciate. È azzerata la gerarchia tra spazio, oggetti e figure e la psicologia di queste ultime non viene più resa con il dettaglio ma con linee e colori che trovano eco negli elementi intorno a esse. Abbandonate dunque le reminiscenze espressioniste, il M. si orientò verso un codice linguistico più strutturato e classico, rafforzato, durante la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1920, dal contatto con alcune opere di Cézanne.
Nello stesso anno il M. partecipò alla mostra organizzata per l’apertura della galleria d’arte diretta da M. Buggelli, insieme con altri artisti tra cui Bucci, Dudreville, Funi, Sironi, A. Martini, Carrà, G. De Chirico, L. Russolo e G. Zanini. L’anno successivo fu presente alla I Biennale romana al palazzo delle Esposizioni con un Vaso di fiori e una Fanciulla che legge (Milano, Galleria civica d’arte moderna). Nel 1922 il M. partecipò nuovamente alla Biennale di Venezia (alle cui successive edizioni espose regolarmente fino al 1936) e intensificò i suoi rapporti con gli artisti milanesi prendendo parte a quella che fu, di fatto, la mostra preambolo al movimento Novecento: la collettiva «VIII Catalogo d’arte» tenutasi alla Bottega di poesia a Milano. Con Bucci, Dudreville, Funi, U. Oppi, E. Malerba, Sironi e Margherita Sarfatti il M. si incontrò regolarmente alla galleria Pesaro allo scopo di fondare un movimento rivolto alla ricerca di una moderna classicità e alla sintesi formale. Nel 1922 egli fu dunque tra i protagonisti della prima mostra di Novecento alla galleria Pesaro.
Essi iniziarono a presentare a rotazione un quadro nella vetrina della galleria impegnandosi a esporre solo insieme o con il parere di tutti gli artisti, anche se, tra il 1923 e il 1926, ci furono alcune defezioni. Nel 1924 il gruppo avrebbe dovuto presentarsi compatto alla Biennale di Venezia, ma Oppi abbandonò il movimento perché gli fu offerta una sala personale. I restanti «Sei pittori del Novecento» si presentarono quindi alla kermesse veneziana commentati da Margherita Sarfatti; il M. espose quattro dipinti tra cui Autunno (Rovereto, Museo d’arte moderna e contemporanea), che rivela una riflessione allegorico-poetica e melanconica sulla natura e la vita umana. Il movimento non ottenne, però, il successo sperato; Bucci, Dudreville e Malerba si dimisero e il gruppo si sciolse per ricostituirsi l’anno seguente con il M. nel comitato direttivo insieme con Margherita Sarfatti. Al nuovo gruppo aderirono Funi, A. Salietti, Sironi, A. Tosi e A. Wildt. L’idea di Margherita Sarfatti e di Funi era di mantenere l’unitarietà del gruppo; tale posizione, che implicava la chiusura verso altri artisti, era appoggiata dal M., ma avversata da Dudreville e da Bucci che, per protesta, si dissociarono durante l’inaugurazione della mostra alla galleria Pesaro del 1926, dove presentarono invece le loro opere con il M., Funi, Sironi, Oppi e Malerba. Per tali divergenze Dudreville definì il M. un «bordone di controcanto», asserendo che si appoggiava a Margherita Sarfatti poiché privo di ambizione (P. M.…, 2006, p. 93).
In effetti il M., fin dagli esordi di Novecento, discostandosi dalla politica imperante, non aderì all’estetica adottata dal fascismo e, conseguentemente, fu escluso dal sistema dei premi e delle esposizioni di regime. In un primo tempo fece parte degli artisti raccomandati da Margherita Sarfatti al senatore F. Gussoni perché fossero da lui stipendiati e partecipò alle esposizioni nella galleria Gussoni aperta dal senatore in via della Croce rossa (divenuta poi galleria Milano); ma alla morte di questo il M., essendo antifascista dichiarato, fu esonerato dall’incarico di fornire mensilmente uno o due quadri dietro compenso.
Di fatto, il M., estremamente colto e raffinato, pur aderendo all’aspetto umanista con il quale il movimento si presentò al pubblico, non accettò neppure la retorica presente nelle proposizioni di Novecento e, nonostante avesse abbandonato in questi anni il tema del paesaggio per dedicarsi alle figure e alle nature morte (soggetti consoni alle indagini del gruppo), il suo discorso artistico conservò una spiccata autonomia, in cui sia i solidi volumi nitidamente definiti e organizzati all’interno di spazi dai piani inclinati sia le figure, che pure grandeggiavano in composizioni dal taglio ristretto, riacquistarono, già dal 1925, una dimensione pittoricistica e, verso la fine del decennio, una colorazione più brillante rispetto ai toni spenti prediletti dai protagonisti del movimento. I dipinti Igea (1924) e Bagnante (1925), entrambi in collezione privata (P. M.…, 2006, pp. 156, 160), sono esempi di figure afferenti al pieno stile monumentale di Novecento, ma riconducibili a uno dei molteplici percorsi del Marussig. Egli, infatti, non coinvolto nelle commissioni pubbliche, non indagò la tecnica dell’affresco sul quale Sironi invitava gli artisti a cimentarsi e continuò invece i suoi studi approfonditi sui problemi interni alla pittura da cavalletto, mantenendo una naturalezza e una libertà d’espressione che spesso difettò agli altri artisti di Novecento. La Venere addormentata del 1926 (collezione privata: P. M.…, 1980, n. 19), per esempio, rivela le meditazioni del M. su analoghe composizioni venete di Giorgione (Giorgio da Castelfranco) e, soprattutto, di Tiziano.
Il M., forse anche per il suo carattere schivo, non fu figura di spicco all’interno del gruppo e restò estraneo alle polemiche che sorsero in seno al movimento verso la fine del decennio, proprio quando si manifestò in lui un rinnovato interesse per il paesaggio, che coincise con i suoi soggiorni sui laghi lombardi, a partire dal 1928, e in Liguria.
Dal 1929 il M. trascorse lunghi mesi a Sturla, sulla costa ligure, in compagnia di Messina, uno dei suoi amici più intimi. Il lago di Iseo (1932: Milano, Galleria civica d’arte moderna) mostra il nuovo indagare delle pennellate libere su oggetti dai forti contorni. Scioltezza pittorica e temi femminili tornarono inoltre ad animare ricerche cominciate durante il periodo triestino.
Nel 1930, con lo scultore T. Borlotti e con Funi, creò una scuola d’arte aperta a tutti e basata, come le antiche botteghe, sui principî della pratica artistica. Dopo questa data il M., seppure meno coinvolto nel sistema espositivo pubblico, continuò a essere presente alle mostre di Novecento, in Italia e all’estero, e a frequentare gli amici più cari come Tosi, Salietti e Messina, ma anche M. Reggiani, Funi e Sironi. Nel 1931, nonostante Margherita Sarfatti fosse nella commissione della I Quadriennale romana, il M. non venne invitato. Partecipò alla XVIII Biennale di Venezia nel 1932 e, nel 1935, furono esposte tre sue opere alla Quadriennale di Roma.
Alla XX Biennale veneziana del 1936 espose Natura morta con fichi e La lettrice (entrambe nelle Civiche Raccolte di Milano). La lettrice, come altre sue figure in interno, anticipò quella pittura sviluppatasi dopo la morte del M. in seno a Corrente (movimento che lo omaggiò inserendo ben quattro opere nella collettiva del gruppo alla Permanente milanese del 1939).
L’amico Reggiani fu il tramite per nuove indagini sull’astrattismo nel contesto della galleria Il milione: il M. partecipò infatti alla mostra «Venti firme» del 1937 (dove esposero artisti che indagavano l’astrattismo accanto a quelli che aderivano al Ritorno all’ordine) e alla rassegna di arte moderna a villa Olmo organizzata a Milano da A. Sartoris.
Ammalatosi di cirrosi epatica, il M. morì, dopo una lunga degenza, a Pavia il 13 ott. 1937.
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