C’era una volta un prigioniero…
No: c’era una volta un bambino… Meglio ancora: c’era una volta una Poesia…
Anzi, facciamo così: c’erauna volta un bambino che aveva il papà prigioniero.
“E la Poesia?” direte voi. “Cosa c’entra?” La Poesia c’entra perché il bambino l’aveva imparata a memoria per recitarla al suo papà, la sera di Natale.
Ma, come abbiamo spiegato, il papà del bambino era prigioniero in un Paese lontano lontano. Un Paese curioso, dove l’estate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava. Un Paese straordinario dove tutto si tirava fuori dal carbone: lo zucchero, il burro, la benzina, la gomma. E perfino il miele,
perché le api non suggevano corolle di fiori, ma succhiavano pezzi d’antracite.
Un Paese senza l’uguale, dove tutto quello che è necessario all’esistenza era calcolato con così mirabile esattezza in milligrammi, calorie, erg e ampère, che bastava sbagliare un’addizione – durante il pasto – per rimanerci morti stecchiti di fame.
Stando così le cose, arrivò la sera della vigilia, e la famigliola si trovò radunata attorno al desco, ma una sedia rimase vuota. E tutti guardavano pensierosi quel posto vuoto, e tutto era muto e immobile nella stanza perché anche l’orologio aveva interrotto il suo ticchettare, e la fiamma era ferma, come gelata nel camino.
Allora il bambino – chi sa perché – si levò ritto sul suo sgabello, davanti alla sedia vuota, e recitò ad alta voce la Poesia di Natale:
Din-don-dan: la campanella questa notte suonerà e una grande,
argentea stella su nel del s’accenderà... |